"...ora nessuno può sapere quanto a lungo, ed a quali prove, la sua anima sappia resistere prima di piegarsi o di infrangersi".
Primo Levi in ogni suo scritto commuove e indigna ma questo, per chi conosce l'autore, è prevedibile.
Quello che di particolare colpisce in questo suo ultimo libro, è l’analisi minuziosa di pensieri e sentimenti, lo scandagliare l’animo umano fino al punto più profondo, che sia quello della vittima o del carnefice, quasi a cercare un senso, una giustificazione.
Levi, testimone diretto dei campi di concentramento, dove ha trascorso undici mesi come prigioniero, racconta il dolore, la vergogna, la disperazione, descrive l'abbrutimento, mentale prima che fisico, a cui erano soggetti i detenuti dei Lager e lo fa cercando di analizzarne i processi psicologici, come a voler categorizzare ciò che per sua natura sfugge ad ogni schema conosciuto, fino a far diventare indefinito, in certi casi, il confine tra vittima e carnefice.
Con estrema lucidità nonostante l’evidente e inevitabile coinvolgimento emotivo, tratta della memoria: labile quella dei carnefici, indelebile quella dei pochi sopravvissuti, parla dei meccanismi di rimozione, dei sensi di colpa, dell’impossibilità di tornare ad una vita normale anche dopo la liberazione, delle violenze fisiche e morali subite, della paura, delle magre consolazioni a cui, in virtù di un disperato e primitivo istinto di sopravvivenza, i detenuti si appigliavano fino a diventare nemici di se stessi, tutti contro tutti.
"È avvenuto contro ogni previsione; è avvenuto in Europa; incredibilmente, è avvenuto che un intero popolo civile, appena uscito dalla fervida fioritura culturale di Weimar, seguisse un istrione la cui figura oggi muove al riso; eppure Adolf Hitler è stato obbedito ed osannato fino alla catastrofe.
È avvenuto, quindi può accadere di nuovo: questo è il nocciolo di quanto abbiamo da dire.
Può accadere, e dappertutto.
Non intendo né posso dire che avverrà come ho accennato più sopra, è poco probabile che si verifichino di nuovo, simultaneamente, tutti i fattori che hanno scatenato la follia nazista, ma si profilano alcuni segni precursori.
La violenza, "utile" o "inutile", è sotto i nostri occhi: serpeggia, in episodi saltuari e privati, o come illegalità di stato, in entrambi quelli che si sogliono chiamare il primo ed il secondo mondo, vale a dire nelle democrazie parlamentari e nei paesi dell’area comunista. Nel terzo mondo è endemica od epidermica. Attende solo il nuovo istrione (non mancano i candidati) che la organizzi, la legalizzi, la dichiari necessaria e dovuta e infetti il mondo. Pochi paesi possono essere immuni da una futura marea di violenza, generata da intolleranza, da libidine di potere, da ragioni economiche, da fanatismo religioso o politico, da attriti razziali. Occorre quindi affinare i nostri sensi, diffidare dai profeti, dagli incantatori"
Sono passati 65 anni da quel momento, dimenticare è impossibile ma il rischio c'è: rinfrescare e rinfrescarsi la memoria ogni tanto non può fare che bene.