Incuriosita dai titoli evocativi di alcuni libri di Massimo Carlotto ho deciso di leggerne uno. La biografia dello scrittore era, del resto, garanzia di originalità.
Ed infatti mi sono trovata a leggere un "grande" libro: piccolo di dimensione, fisicamente molto leggero, in nettissimo contrasto con la corposità del contenuto.
La forma colloquiale e l'uso della prima persona della protagonista, rende il lettore partecipe e molto coinvolto negli avvenimenti, guidato pian piano nella conoscenza di follie ed esasperazioni di una donna che è di fatto il sunto e lo specchio dell'Italia più povera e ignorante, impregnata di razzismo e banalità, priva di principi ed abbandonata a se stessa.
Una vita-discount, dove tutto è rigorosamente sottocosto, spesa nell'intento di barcamenarsi alla bell'e meglio, tra la rassegnazione e i rimpianti per la propria esistenza e i sogni sul futuro della figlia, per la quale l'unica speranza di salvezza appare la televisione di Maria De Filippi. I deliri di una madre che, dopo aver commesso il crimine peggiore, stordita dal dolore e dall'alcool, narra i presupposti del tragico epilogo.
La frase "Niente, più niente al mondo", fin dalle prima pagine del libro torna spesso come un tormentoso ritornello che si insinua nella mente del lettore e al quale può capitare di leggere parole dure come macigni con in testa le note dolci e le parole soavi della famosissima e romantica canzone, in un'atmosfera di imminente apocalisse.