La immaginiamo eterna e bellissima, serena e magnetica, come in quelle cartoline del Settecento. Ma Napoli è una bella signora che tiene il culo su una polveriera. E cosa succederebbe se questa polveriera esplodesse oggi, se i Campi Flegrei smettessero l'abito bucolico rinverdendo antichi fasti?
Come nelle sventure di moderna tradizione, i grandi si riunirebbero nel silenzio generale per pianificare lucrosi affari. Così, novello Berlusconi, l'avvocato Diego Ventre persuade il professor Corso dell'Osservatorio Vesuviano a ritardare la notizia del disastro per consentirgli di approntare un "play" di acquisti e vendite.
Ventre è un mafioso new generation: bello, scaltro, intelligente, potente; sa essere crudele e sa essere Dio: punisce e salva. Ed in questo è l'eroe che colma il vuoto istituzionale. Ma anche il potere è un meccanismo ad orologeria: prevede mente salda, capacità di controllo, lucidità e passione. Ventre ha mille qualità e le ha apprese dal dolore che nasce dalla povertà, dal sacrificio, dal tradimento. Tutta la vita a pagare lo scotto di un dramma familiare. Solo una cosa gli manca: la veste della nobiltà. E così, se Mastro don Gesualdo aspirava a Bianca Trao per riscattare le sue origini borghesi, Ventre si lascia affascinare da Luce di Sagrano, duchessa napoletana in decadimento, che sarà la vittima ignara ed ingenua di una rete soffocante di misteri e di grandezze.
Poetico, teatrale, pittorico, Ruggero Cappuccio sa far uso di una scrittura affascinante, di grandissima forza immaginifica. Sa cesellare, rifinire, smerigliare, ma sa anche trasporre con maestria meccanismi sociali reali in chiave letteraria, invitando a confronti e riflessioni.
In lui c'è il dominio della parola, ma c'è anche il gusto compiaciuto di un suono, di un ritmo, che fanno del linguaggio una musica per il cuore. Tuttavia, perchè il cuore si scuota, l'anima ha bisogno di sapere che assiste a scenari possibili. E così si intenerisce ai travagli del pittore Francesco De Mattia, che fa i conti con un dono ereditato; si disgusta e compatisce all'isteria senza affetto di Maria Amerigo, la madre di Luce, venduta alla ricchezza e all'apparire, moderna cortigiana di una corte che non esiste più da secoli; resta col fiato sospeso dinanzi all'azzardo che può capovolgere la vita da un momento all'altro; si riconosce nell'eterno presente, che cancella sia passato che futuro: "Tenete questa smania che volete essere giovani, sempre giovani, tenete la fissa che volete essere contemporanee come i musei dell'arte. Ma contemporanee di chi? Tutte queste mostre dell'avanguardia che non finisce mai, qualche volta sono pure belle, ma è un' avanguardia che dura da cento anni. E a chi parla più?" - dirà Mimisa, napoletana con l'occhio neutrale della Svizzera.
Con maestria Cappuccio traspone per costruire un mondo-caricatura che è lo specchio della nostra età decadente, carnevale che copre l'assenza di anime o la sordità alle loro voci. La fine del buio passa attraverso l'inferno o attraverso un battesimo di acqua e fuoco. E sempre la luce risorge più intensa sulle macerie e sulle profondità. Si salva chi è rimasto se stesso senza sporcarsi, chi raccoglie il passaggio di testimone, chi non ha interrotto il dialogo con la propria anima, chi ha scelto se volare o strisciare, chi si affida alla vita rinunciando a governare il finale: catarsi del teatro riservata all'"onesto" spettatore.
Parole di Maria Carmen Masi
Ruggero Cappuccio, FUOCO SU NAPOLI, Feltrinelli, 2010, pp. 256
Collana I Narratori, € 16,00