Che succede quando nella città eterna arriva, con l’intenzione di restarci per un po’, la neve?
Succede che ci trova tutti impreparati anche se l’aspettavamo, e succede che ci sorprende con un’infinità di sensazioni forti. E ci trascina per strada, impavidi, nonostante le temperature insolite e i rischi di rovinose cadute.
Noi, più abituati a giocare con la sabbia calda. Noi, per cui la neve è solo un gioco di poche ore, e ne sottovalutiamo la potenza, la forza, la capacità di paralizzare e distruggere.
Per due giorni Roma si è tinta di bianco, per due giorni è stata pulita, lucente, buona, perché siamo, o forse è solo una mia impressione, tutti più buoni, sorridenti e tolleranti quando nevica…
In questa caratteristica lei, la neve, è più simile ad un disastro che ad una festa… e si percepisce quanto sia labile il confine tra le due cose, e si aspetta in silenzio che sveli le sue intenzioni smettendo di cadere.
Quanto a me, che alla vista dei primi fiocchi regredisco di 30 anni, ho avuto una cosa sola da fare: scattare e scattare, più per ricordare che per trasmettere. Perché tornerà la neve a Roma, presto o tardi ritornerà, ma sarà un’altra, non questa: se c’è una cosa che amo di Roma sopra ogni cosa è il suo mutare continuamente, lasciando al suo ospite l’eterna illusione che resti invece, immutata.
“C’è la neve nei miei ricordi… c’è sempre la neve…
E mi diventa bianco il cervello se non la smetto di ricordare…
Tanto qui sotto nulla è peccato…” (Manuale d’Amore2)