Un libro scorrevole ma durissimo, letto tutto d'un fiato durante un rapido viaggio in treno Roma-Milano andata e ritorno. Era li... nel kindle di un'amica ed ho iniziato a leggerlo più per provare il diabolico marchingegno che per vera curiosità verso il contenuto.
E invece la trama, anzi le trame, dato che il libro si compone di otto brevi racconti, mi hanno rapito da subito: storie che si susseguono veloci, diverse una dall'altra ma legate da un unico filo robusto e spinoso che le rende alla fine una storia unica.
Protagonista di ogni racconto è sempre una figura femminile, di età, ceto sociale, provenienza diversa. Tutte, in ogni caso, "donne che amano troppo": rapite, picchiate, violentate ed uccise da uomini buoni fuori e mostruosi dentro, alle quali sono legate in maniera indissolubile da un sentimento che sembra amore ma che in realtà nasconde solo sensi di colpa e un'insana speranza di cambiarli con le uniche armi dell'amore, della dedizione e della pazienza.
In tutti i racconti, tranne uno, l'uomo è una persona molto vicina alla vittima: marito, compagno, padre, amico che gradualmente o all'improvviso rivela il proprio lato oscuro, una ferita profonda e insanabile che lo spinge a gesti brutali, forse nel tentativo disperato di attutire un proprio dolore interiore ricreando lo stesso inferno fuori di se. Un argomento antico ma attualissimo, troppo spesso taciuto o minimizzato su cui vale la pena riflettere in un mondo volto al futuro e che si vanta di modernità ma dove le donne sono ancora, e di frequente, vittime silenziose, prima di tutto di una cultura barbaramente e subdolamente maschilista.
«Ma colpa di che?» gli chiedo. «Colpa di avere accettato la prima, la più subdola e inaspettata delle violenze. Da quel momento la distinzione fra i due si fa sottile e ambigua. La vittima diventa sempre più vittima, il carnefice sempre più carnefice in un gioco perverso che si avvita su se stesso».