In questa straziante lettera, pubblicata postuma, Kafka si rivolge al padre con tono duro e diretto. Tutto il testo appare, in realtà, come un intimo dialogo con se stesso. Esaminando a fondo le proprie paure e fragilità, tenta di dare ad esse un'origine e un nome, una colpa e infine una punizione e un riscatto.
È evidente come la figura paterna sia stata, per Kafka, fonte di dolorosi conflitti interni, tanto profondi da pervadere e condizionare tutta la sua esistenza e le sue opere, nonché responsabile, secondo lui, dell'insieme di problemi relazionali e di insuccessi personali che ritiene di aver avuto nella vita, fra cui i fallimenti matrimoniali.
Kafka ricorda e descrive in maniera particolareggiata momenti dolorosi della sua infanzia e della sua adolescenza, quando il padre era avvolto in un "alone misterioso, come tutti i tiranni, il cui diritto si fonda sulla loro persona, non sul pensiero" e quando, anche fisicamente, si sentiva sovrastare e schiacchiare da lui, per "colpa" anche di un carattere particolarmente sensibile che non gli ha permesso di filtrare atteggiamenti e parole e di ridimensionarli.
Questa lettera sembra, infine, un estremo tentativo di conciliazione del piccolo Kafka con la gigantesca figura paterna, nella consapevolezza che non può esserci riscatto senza aver chiuso definitivamente quel primo cerchio e che tutti i tentativi di ottenere un vero riconoscimento, in età adulta, non possono dar altro che un temporaneo ed effimero appagamento.
È facile comprendere con più chiarezza, dopo la lettura di questo testo, le altre opere di Kafka e quelle sue oscure e angosciose visioni della vita e del mondo che ne hanno fatto uno degli scrittori più tormentati del novecento.
"Se al mondo ci fossimo stati solo io e te, idea che mi era molto vicina, allora la purezza del mondo finiva con te e con me cominciava, in virtù del tuo consiglio, la sporcizia"
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